Partiamo da un simpatico post de La startup di M che si chiedeva chi nell’azienda avesse guidato il passaggio al digitale (inteso come smart working) e così ci siamo domandati come le aziende hanno affrontato l’arrivo del covid-19 e come hanno risposto alla necessità di permettere ai propri dipendenti di lavorare da casa.
Alcune realtà si sono trovate davvero in difficoltà, costrette ad affrontare in maniera rapida e in molti casi non organizzata il passaggio allo smart work (cosa ben differente dal telelavoro o lavoro da remoto!!). Questa era l’unica soluzione che si è presentata il 9 marzo a molti imprenditori e professionisti per non fermare la propria attività.
Qui per molti cominciano i guai ma… ci sono storie di successo.
Vediamo come l’hanno affrontata due realtà differenti: una società di consulenza e certificazione e la Chiesa Cattolica della Diocesi di Rovigo.
Ci racconta la sua esperienza Martina, Strategic Client Manager di un gruppo inglese tra i principali fornitori mondiali di servizi professionali con una propensione alle nuove tecnologie ed al miglioramento delle performance.
Il gruppo è già una realtà con una forte connotazione allo smart work: gli uffici commerciale e marketing hanno una parte di personale in sede ed una parte che ha scelto da anni la formula di lavoro smart. Le attività di coordinamento, per quanto riguarda marketing e sales, avvengono attraverso conference call nelle quali sono coinvolti i vari componenti dell’ufficio. Periodicamente queste riunioni vengono effettuate de visu presso la sede in modo che il team possa legare maggiormente e possa così crescere l’empatia tra colleghi.
In questo periodo le cose non sono cambiate molto nemmeno per quelli che lavoravano in ufficio: avevano già a disposizione una serie di strumenti, tra i quali il pc aziendale, e quindi ciò ha permesso un comodo raggiungimento della piena efficienza.
Gli incontri con i clienti vengono organizzati attraverso conference call; aspetto più delicato sono le ispezioni in azienda, per alcuni si è riusciti a rimodulare la cosa, per altri invece si è dovuto riorganizzare o rimandare il completamento di essa.
«Forse la novità più evidente è la chiamata del lunedì pomeriggio dell’amministratore delegato, dice accennando un sorriso, una sorta di chiacchierata più che una riunione ma vista la situazione sono importanti anche questi momenti».
La seconda storia di successo riguarda la Diocesi di Rovigo, caso così interessante che anche National Geographic ne ha parlato.
La pandemia ha costretto a casa milioni di persone e la Chiesa, dovendo rispettare le normative imposte per tentare di rallentare il contagio, si è trovata ad affrontare un’enorme sfida.
E come si può mantenere il distanziamento sociale in una realtà che è fatta di presenza, contatto, abbraccio, comunità?
Questa è stata la grande sfida di molti sacerdoti cattolici spinti dal desiderio di portare avanti gli impegni pastorali e di far sentire ai parrocchiani la propria vicinanza.
Si è dovuto ricercare nella tecnologia, nel pc, nello smartphone, nei social network il mezzo per rimanere in contatto con i fedeli e rispondere alle loro esigenze.
E così la Chiesa ha abbracciato il digitale dando vita a celebrazioni virtuali: messe trasmesse settimanalmente sui social network, funerali in diretta streaming, preghiere pubblicate sulle pagine social, il tutto seguendo il calendario religioso della Quaresima e della Pasqua.
Lo shock più evidente è nella riduzione degli eventi che generano forti emozioni come battesimi e matrimoni; questi si svolgono in chiese chiuse a tutti tranne che ai genitori e ai testimoni legali.
Il distanziamento sociale ha messo alla prova gli italiani; una vita senza lo scambio pubblico di caldi abbracci e baci era inimmaginabile prima del virus.
(fonte Studio Alpha Omega e National Geographic)